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Tra DESI e Recovery Plan: ultima chiamata per l’Italia?
Il Digital Economy and Society Index 2020 attesta le diversità di sviluppo digitale tra i Paesi UE e i gravi ma colmabili ritardi del nostro Paese
Il DESI, importante strumento per il Recovery Plan della UE
Come ogni anno, dal 2014 in poi, la Commissione Europea ha pubblicato nei mesi scorsi il report sul Digital Economy and Society Index (DESI) 2020, un indice multidimensionale che misura il livello di digitalizzazione nei Paesi UE, monitorandone l’avanzamento e le prestazioni complessive. Si tratta di rilevazioni analitiche che forniscono importanti elementi per valutare lo stato di un profilo fondamentale delle economie e delle società europee, nonché per delinearne le problematiche strutturali sulle quali concentrare le priorità di investimento. Aspetto, quest’ultimo, di grande attualità in vista dell’attuazione del Recovery Plan attraverso il quale l’Unione Europea si propone di re-innescare la ripresa nell’era post-Covid.
Proprio il Recovery and Resilience Facility, il dispositivo straordinario da 672,5 miliardi di euro di cui lo scorso 11 febbraio il Consiglio europeo ha adottato il regolamento istitutivo, oltre che attutire l’impatto economico e sociale della pandemia da COVID-19 dovrà infatti essere l’occasione per porre le basi di un nuovo modello di sviluppo imperniato sulle transizioni verde e digitale, indirizzando le economie dei Paesi europei sulla strada maestra della sostenibilità e delle resilienza.
È del resto innegabile, volendo ricercare un aspetto positivo nella perdurante drammatica situazione in atto, come l’emergenza sanitaria abbia reso universalmente evidente la crescente centralità della Rete nelle nostre vite, ed abbia imposto un processo accelerato di digitalizzazione dei servizi pubblici e delle attività economiche.
Le 5 dimensioni del Digital Economy and Society Index
Il DESI rappresenta dunque lo strumento attraverso il quale la Commissione monitora le prestazioni digitali dell’Unione Europea e dei singoli Stati membri. Il suo carattere di indice multidimensionale è determinato dalla valutazione di cinque componenti strategiche dello sviluppo digitale:
il livello di connettività e l’utilizzo di infrastrutture di banda larga e ultralarga (broadband connectivity);
la diffusione di competenze e specializzazioni digitali nella società (human capital – digital skills);
l’uso di servizi internet da parte dei cittadini (internet use of citizens);
l’integrazione delle tecnologie digitali nelle imprese e nel commercio (Integration of digital technology by businesses);
la disponibilità di servizi pubblici digitali (Digital public services).
Ciascuno di questi parametri ha un determinato ‘peso’ nella definizione del DESI: la connettività e le competenze digitali valgono entrambe il 25% dell’indice, l’integrazione tecnologica nelle imprese il 20%, mentre l’uso di internet e i servizi pubblici quotano il 15%.
La connettività a banda larga e ultralarga
Passando in rassegna singolarmente i 5 indicatori che compongono l’indice DESI, la Commissione sottolinea come l’accesso ad una connessione a banda larga veloce e affidabile (su rete fissa o mobile) sia oltremodo cruciale nel contesto attuale e che in generale “la connettività è migliorata, ma occorre fare di più per rispondere ad esigenze in rapida crescita”.
Nel 2019 – anno a cui fa riferimento l’indice 2020 – il 78 % delle famiglie europee deteneva un contratto per la connessione a banda larga fissa, percentuale in aumento rispetto al 70 % di cinque anni fa, e quasi tutta la popolazione risultava servita dalle reti mobili 4G. Solo 17 Stati membri avevano però già assegnato le ‘bande pioniere’ del nuovo standard di telefonia mobile 5G per il quale Finlandia, Germania, Ungheria e Italia sono i Paesi più avanzati in termini di preparazione.
Inoltre il 44 % delle famiglie dell’UE ha la possibilità di accedere a reti fisse a banda larga ad altissima capacità e nell’ultimo quinquennio si registra un deciso incremento del numero di persone che utilizzano i servizi a banda larga di almeno 100 Mbps: la penetrazione ha raggiunto il 26% delle famiglie, cinque volte superiore a 5 anni fa. Stilando una graduatoria delle nazioni europee che prenda a riferimento il parametro della connettività sono Danimarca, Svezia e Lussemburgo ad ottenere i punteggi più alti.
Il capitale umano – Digital skills
La dimensione delle ‘competenze digitali’ è sicuramente uno degli aspetti più delicati nel percorso di digitalizzazione delle società e delle economie europee e il DESI 2020 evidenzia i gravi ritardi di molti Paesi, in primis l’Italia che in materia detiene un poco invidiabile ultimo posto dietro Romania e Bulgaria.
La Commissione esprime il convincimento che le competenze costituiscano la spina dorsale della società digitale in quanto consentono alle persone di essere in condizione di utilizzare i servizi e di ‘ingaggiarsi’ (engaged) nelle attività di base online – quali ad esempio l’accesso alle informazioni di pubblica utilità-, opportunità la cui importanza si è ancor più palesata a seguito delle ristrettezze alla mobilità imposte dall’emergenza sanitaria.
Pertanto, non è certo sufficiente avere una connessione a Internet; la connettività deve essere accompagnata dalle skills adeguate per trarre vantaggio dalla società digitale: si va dalle competenze di base che permettono alle persone di accedere ai relativi servizi, a conoscenze avanzate che consentono di sviluppare nuovi beni e servizi digitali. Nel corso del 2019 il DESI ha comunque registrato complessivamente un miglioramento sia delle competenze di base degli utenti della Rete che nelle digital skills avanzate (specialisti e laureati in information and communication technologies, ICT): la percentuale di persone che detengono almeno le competenze digitali di base ha raggiunto il 58% (era il 55% nel 2015), mentre nel 2018 oltre 9 milioni di persone nell’UE lavoravano come specialisti ICT, ben 1,6 milioni in più rispetto a quattro anni prima.
Nonostante tali miglioramenti, sono dati che non possono soddisfare appieno poiché il rovescio della medaglia indica che buona parte della popolazione europea (il 42 %) non è tuttora in possesso di competenze digitali di base e che, nonostante l’incremento di specialisti ICT (di cui, si fa notare, solo uno su sei è di genere femminile), ancora nel 2018 il 64 % delle imprese di grandi dimensioni e il 56 % delle PMI hanno incontrato difficoltà nel coprire i posti vacanti per tali professionalità. Complessivamente, nella dimensione del capitale umano riportata nel DESI, sono Finlandia, Svezia ed Estonia ad essere sul podio dei Paesi più avanzati.
L’utilizzo dei servizi online da parte dei cittadini
Anche l’aspetto dell’esplosione quantitativa dell’utilizzo della Rete durante i periodi di lockdown, segnalato dalle più recenti indagini, deve essere contestualizzato: pur nelle ricorrenti differenziazioni riscontabili tra singoli Paesi, il DESI evidenzia che complessivamente in Europa già nel 2019 l’85% delle persone utilizzava internet almeno una volta alla settimana (rispetto al 75 % del 2014) soprattutto attraverso modalità che non richiedono particolari competenze digitali quali il consumo di contenuti online (musica, film, TV, giochi) e le videochiamate.
Anche attività come le operazioni bancarie e gli acquisti sul web erano già cresciute nel mondo pre-Covid, utilizzate rispettivamente dal 66 % e dal 71 % degli utenti di internet. A livello territoriale l’Indice attesta come il range degli utilizzatori della Rete vari dal 67% della Bulgaria al 95% di Danimarca, Svezia e Olanda.
L’adozione delle tecnologie digitali nelle imprese
Le imprese sono sempre più digitalizzate, soprattutto quelle di grandi dimensioni: il DESI 2020 riporta che il 38,5 % fa già affidamento su servizi cloud avanzati e il 32,7 % utilizza l’analisi dei Big Data. Percentuali che non sono invece riscontrabili per le piccole, medie e micro imprese (PMI), i cui ritardi si sono evidenziati durante i periodi di lockdown con la difficoltà di ricorrere a modalità di lavoro alternative. Secondo la Commissione europea uno dei principali ostacoli alla digitalizzazione delle PMI è il divario di digital skills, causato dai bassi livelli di alfabetizzazione digitale di proprietari, manager e dipendenti, e affrontare tali carenze sarà fondamentale per garantire una robusta ripresa post-Covid.
A questo proposito èbene ricordare chele PMI costituiscono il 99% delle imprese dell’UE, forniscono due terzi dei posti di lavoro nel settore privato e contribuiscono a più della metà del valore aggiunto totale creato dalle imprese dell’Unione.
Allo stato la stragrande maggioranza delle PMI ancora non si avvale delle tecnologie digitali: solo il 17 % utilizza servizi cloud e solo il 12 % l’analisi dei big data. Per quanto riguarda il commercio elettronico, solo il 17,5 % delle PMI ha venduto prodotti o servizi online nel 2019, con un leggerissimo aumento rispetto al 2016, mentre invece vi è ricorso il 39 % delle imprese di grandi dimensioni. La classifica continentale della digitalizzazione delle imprese vede ai primi posti Irlanda, Finlandia, Belgio e Paesi Bassi.
I servizi pubblici digitali
Viene infine riportata nel Digital Index la crescente tendenza all’uso dei servizi digitali negli ambiti delle pubbliche amministrazioni (PA) e della sanità, evoluzione che permette sia agli enti pubblici che a cittadini e imprese di aumentare l’efficienza e i risparmi, oltre che più in generale di migliorare la trasparenza e rafforzare la partecipazione.
Un trend, questo, ulteriormente rafforzato dall’esperienza della crisi del Covid-19, in quanto la possibilità di accesso digitale ai servizi pubblici ne ha reso possibile la continuità e la fruibilità in presenza delle misure di distanziamento sociale.
Il risultato è che il 67 % degli utenti di internet che ha avuto modo di relazionarsi via web con le PA utilizza ora abitualmente i canali online (erano il 57% nel 2014), attestando la comodità e l’apprezzamento delle modalità digitali rispetto alle procedure cartacee. Ecco perché la Commissione europea già nel DESI 2020 esprime il convincimento che una “successful exit strategy” dalla pandemia richieda servizi pubblici digitali solidi in tutti gli Stati membri, favorendo il ricorso alla sanità elettronica (telemedicina, prescrizioni online, scambio di dati medici) e all’uso di tecnologie avanzate per migliorare i servizi pubblici, ad esempio utilizzando i big data o ricorrendo all’intelligenza artificiale. I Paesi che in questo settore hanno fatto registrare le prestazioni migliori sono l’Estonia, la Spagna, la Danimarca, la Finlandia e la Lettonia.
L’ultimo posto dell’Italia nelle competenze digitali
E l’Italia? Non siamo sicuramente tra i migliori, come attesta il 25° posto nella graduatoria generale dell’Indice 2020 (perse due posizioni rispetto all’anno precedente), ovvero la quart’ultima posizione appena sotto Cipro e davanti a Romania, Grecia e Bulgaria.
Soprattutto colpisce negativamente il nostro ultimo posto nella componente Capitale umano – Digital skills, a causa del livello definito mediamente “molto basso” delle competenze digitali di base e avanzate, così come risulta molto al di sotto della media UE il numero di specialisti e laureati nel settore dell’ICT.
Si tratta di primati davvero poco invidiabili: innanzitutto la mancanza di competenze digitali adeguate costituisce di gran lunga il fattore di dissuasione più importante dall’avvicinarsi alle opportunità digitali. Inoltre, il gap nel digital skill si riflette sulle altre componenti dell’Indice le cui graduatorie ci vedono quasi sempre nelle ultime posizioni.
Così è per il modesto utilizzo quantitativo della Rete (solo il 74% degli italiani usa abitualmente internet, il 17% non lo usa affatto e 7,6 milioni di persone non lo hanno mai usato), per lo scarso accesso ai servizi pubblici digitali (nonostante l’offerta si collochi al di sopra della media europea), per i ritardi delle nostre imprese nel ricorso a tecnologie quali il cloud e i big data, così come per quanto riguarda l’adozione del commercio elettronico.
I segnali positivi per una possibile rimonta digitale dell’Italia
Vi sono però tre luci in fondo al tunnel dei ritardi del nostro Paese, dati e tendenze positive da cui ripartire ora che la transizione verde e digitale assurge a principale obiettivo strategico del Governo appena insediato.
Intanto la posizione in linea con la media europea nella dimensione della ‘connettività’, nell’ambito della quale però l’Italia eccelle nella preparazione al nuovo standard 5G. In secondo luogo va considerato che rispetto all’anno precedente l’Italia peggiora di posizione ma progredisce, anche se di poco, in tutte le misurazioni dei parametri considerati.
Non solo. Se esaminiamo l’andamento delle 5 componenti dell’indice negli ultimi 5 anni notiamo che l’Italia è andata migliorando alla velocità della media degli europei e comunque meglio di una quindicina di altri Paesi.
Ma c’è soprattutto un terzo motivo di ottimismo che il Rapporto 2020 accenna soltanto, dando atto al nostro Paese degli sforzi e dei progressi compiuti a partire dal lockdown di marzo. Si tratta di aspetti che al momento sono riportati nel “Rapporto sulla trasformazione digitale dell’Italia“ (basato su rilevazioni compiute da marzo a giugno 2020) elaborato dal Censis in collaborazione con il Centro Studi TIM e presentato lo scorso mese di dicembre.
Elementi di oggettivo miglioramento che, se troveranno conferma nel DESI 2021, potranno migliorare il posizionamento del Paese e costituire il punto di partenza per un rinnovato slancio di progresso socio-economico.
Per fermarsi ai dati più significativi, il Rapporto rileva che a partire dal trimestre marzo-giugno dello scorso anno:
6 italiani su 10, dopo l’esperienza delle restrizioni da Covid-19, considerano Internet una risorsa essenziale;
grazie alle necessità indotte dal lockdown, 8 connazionali su 10 hanno acquisito competenze digitali perlomeno di base;
il 40% degli italiani con più di 18 anni ha studiato o lavorato da remoto;
il 52% ha usato il computer per studiare o lavorare;
si è verificato un enorme aumento del traffico sia sulla rete fissa che mobile. In particolare nel periodo 15-30 marzo la rete fissa ha sopportato un incremento che ha superato il 70% e toccato punte del 90% (in particolare nella fascia oraria lavorativa);
8,7 milioni di italiani hanno usato i servizi digitali delle PA per la prima volta;
sono ben 43 milioni coloro che hanno interagito online con altre persone.