Si scrive ‘Stato di diritto’, si legge società pacifiche e inclusive
Quando si parla di pace non ci si può limitare a correre con il pensiero al suo esatto contrario, associandola semplicemente all’inazione di fucili, mitragliatrici, carri armati, e all’assenza di repressioni e sistematiche violenze. Condizioni, beninteso, di incommensurabile importanza se si considera che i livelli di prosperità e diffuso benessere raggiunti da gran parte dei Paesi europei costituiscono il più tangibile risultato del periodo di assenza di guerre più lungo della storia del nostro continente (considerando extra-europeo il conflitto balcanico di inizio anni ‘90).
Ma il concetto di società pacifica è ben più largo e si fonda sull’esistenza di uno Stato di diritto, dove i rapporti e i conflitti tra le persone sono sottoposti alla sovranità impersonale della legge e nel quale viene garantito il rispetto dei Diritti fondamentali della persona umana, sanciti nel 1948 dall’Assemblea generale dell’ONU nella Dichiarazione universale dei diritti umani.
Tra questi figurano il diritto alla vita, alla sicurezza, all’istruzione, alla salute, alla giustizia uguale per tutti, a soddisfare i bisogni primari, a manifestare i propri pensieri e le proprie idee potendo contare, oltre che sulla libertà personale, su istituzioni responsabili perché controllabili e orientate a favorire la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica: per questo la formulazione dell’Obiettivo 16 dell’Agenda 2030 fa riferimento a “pace, giustizia e istituzioni solide”.
Le molteplici espressioni di violenza nelle società contemporanee
Così come l’idea di pacificazione si estende ad ogni aspetto delle società umane, per contro combattere la violenza non significa soltanto lottare contro le guerre.
La criminalità organizzata, il terrorismo, lo sfruttamento di donne e bambini, la corruzione, gli abusi di potere, il traffico di armi, financo le discriminazioni razziali o religiose, sono espressioni di violenza incompatibili con l’affermazione di società inclusive e giuste che si propongono traguardi di sviluppo equilibrato e sostenibile.
E in questa direzione il cammino da compiere è davvero ancora molto lungo se si pensa che, secondo gli ultimi dati disponibili, ogni anno circa 70 milioni di persone migrano o vengono sfollate con la forza a causa di persecuzioni, conflitti, violenze o violazioni dei diritti umani.
Le numerose guerre che ancora flagellano il Pianeta
Del resto è ben noto come violenza, ingiustizia e insicurezza siano diffuse anche in parti del mondo in cui non sono in atto conflitti, ed anche nei Paesi economicamente avanzati. In Brasile, per esempio, il numero di omicidi è ancora molto alto (oltre 65.000 nel 2017), così come negli Stati Uniti (17.284 nel 2017) dove peraltro, sia detto di passaggio, gli Stati con la pena di morte (Louisiana e Missouri) hanno registrato tassi di omicidio più elevati rispetto a quelli che non la prevedono.
Per contro però la stabilità della situazione europea ed occidentale non deve farci dimenticare che l’inestimabile patrimonio dell’assenza di guerre non è purtroppo ancora prerogativa di tutte le aree del mondo. Innumerevoli conflitti flagellano le zone più in difficoltà del Pianeta, molto spesso avvolti da un oblio non sempre disinteressato, squarciato saltuariamente in concomitanza di particolari fatti di cronaca.
E’ il caso del recente assassinio dell’ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo, che ha per un attimo alzato il velo su uno dei conflitti più cruenti nell’era post-bellica, non a caso denominato ‘Guerra Mondiale Africana’ avendo coinvolto nove Stati, 25 milizie armate, e provocato oltre 5 milioni di morti negli ultimi due decenni.
I conflitti armati pregiudicano l’Agenda 2030
Ma sono le migrazioni di massa che si affacciano periodicamente ai nostri confini che ci ricordano il valore inestimabile dell’assenza di conflitti armati.
Uno stato di guerra rappresenta l’esatto opposto delle condizioni che rendono possibile il perseguimento degli Obiettivi dell’Agenda 2030.
Le attività agricole vengono abbandonate. Nei campi rimangono per lungo tempo mine antiuomo che li rendono inutilizzabili per le coltivazioni, oltre a creare altre morti e mutilazioni. Tutte le attività produttive non hanno possibilità di progredire, accentuando la povertà e la disoccupazione. Come si fermano le scuole, impedendo alle società di preparare il proprio futuro.
Grandi parti delle città e delle infrastrutture (strade, ponti, linee elettriche, condotte idriche) vengono distrutte. Migliaia, a volte milioni, di profughi sono così costretti a lasciare le proprie case e ad emigrare, diventando rifugiati in un altro Paese.
Quelli che per noi occidentali sono ricordi ormai affievoliti dal tempo rappresentano invece ancora il tremendo presente per un’ampia porzione del globo.
La lotta contro la corruzione e gli abusi di potere
Quello che di certo può dirsi ampiamente dimostrato è che lo stato di diritto e la crescita socio-economica sono strettamente correlate: si rafforzano a vicenda, rendendo tale compresenza necessaria per le strategie di sviluppo sostenibile.
Così come è dimostrato che senza società pacifiche, con istituzioni radicate e riconosciute dai cittadini, e con pratiche ispirate ai principi di onestà e di buongoverno, lo stesso sviluppo non può essere inclusivo.
Secondo i rapporti delle Nazioni Unite, alcune piaghe non ancora debellate anche nei Paesi più avanzati quali la corruzione e la concussione (alle quali non a caso è dedicato uno specifico target del Goal 16) insieme all’evasione fiscale sottraggono ogni anno alle collettività l’equivalente di oltre il 5% del PIL globale.
Un problema tanto grave che ha spinto le Nazioni Unite ad introdurre la ricorrenza della Giornata internazionale contro la corruzione. Si tratta di migliaia di miliardi di dollari che ogni anno vengono pagati in tangenti o depredati attraverso pratiche corrotte che minano seriamente lo Stato di diritto e finiscono per sostenere attività criminali quali i traffici illeciti di persone, droga o armi.
Risorse economiche che sarebbero invece preziosissime per finanziare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile quali l’istruzione, la sanità, le infrastrutture di base. Si è calcolato ad esempio che corruzione, concussione ed evasione fiscale costano ai Paesi in via di sviluppo circa 1,26 mila miliardi di dollari l’anno: una cifra che se correttamente investita consentirebbe di sostenere tutti coloro che vivono in quei Paesi con meno di 1,25 dollari al giorno al di sopra di tale soglia per almeno sei anni.