Non prendere lucciole per lanterne: l’Italia arretra nelle graduatorie sulla Parità di Genere
Certo fa un certo effetto leggere le statistiche del Global Gender Gap Report 2023 redatto dal World Economic Forum. Per un Paese come l’Italia, in cui il dibattito pubblico tende a peccare di schematismi e superficialità, che la più importante carica politica sia ora diventata appannaggio di una donna ha fatto pensare ad un impetuoso movimento di sfondamento del soffitto di cristallo. Il punto di arrivo di una tendenza di lungo corso, coronata da uno di quegli improvvisi scatti in avanti di cui, nel dopoguerra, la società italiana si è più volte dimostrata capace. Al contrario, stando al Report del World Economic Forum, la posizione nel mondo del nostro Paese è invece peggiorata, scivolando di 13 posizioni, passando al 79° posto su 146 e relegandoci alla 22^ posizione a livello europeo. E il bello è che tra le motivazioni prevalenti dell’outlook negativo figura proprio la partecipazione e rappresentanza politica delle donne.
Per la verità in tutto il mondo il progresso sulla Gender Equality ristagna
Più in generale, emerge un’Italia a doppia velocità, con aspetti migliorati ma ancora tanti fattori da potenziare per garantire i diritti e il pieno sviluppo della condizione del genere femminile. Rimaniamo molto indietro ad esempio nelle opportunità economiche e nell’accesso all’educazione e alla formazione, mentre si registra un marcato miglioramento (seppur rimanendo nella parte bassa della graduatoria) riguardo la salute e le prospettive di vita. Se dunque non si può affermare l’Italia stia facendo dei passi da gigante sulla Parità di Genere, va anche sottolineato come il contesto globale non stia certo accelerando in questa direzione. Secondo il rapporto, il divario complessivo tra i sessi si è ridotto solo di 0,3 punti percentuali rispetto all’anno precedente e di 4,1 punti dalla prima edizione del 2006. Se si mantiene l’attuale ritmo di progresso, a livello mondiale il gap potrà essere colmato solo nel 2154, ossia tra 130 anni.
Eppur qualcosa si è mosso (e si muove)
Se dunque si procede a passo di lumaca, non bisogna d’altra parte sottovalutare i passi avanti che pure sono avvenuti. Il mondo ha colmato circa il 70% del Gender Gap globale e la crucialità del raggiungimento dell’eguaglianza di genere è stata affermata ai più alti livelli sia in ambito internazionale che nazionale: si pensi alla definizione dell’Obiettivo (Goal 5) di Sviluppo Sostenibile ‘Raggiungere l’uguaglianza di genere e l’empowerment di tutte le donne e le ragazze’ all’interno del framework dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, alla Strategia europea per la Parità di Genere avviata dalla Commissione Europea presentata nel marzo del 2020 che ha portato alla nascita del progetto ‘Gender Equality Strategy 2020-2025’, e alla ‘Strategia Nazionale per la Parità di Genere 2021-2026’ promossa dal Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio che si inserisce tra gli interventi previsti per l’attuazione del PNRR.
Lavoro femminile: Italia indietro sia per quantità che per qualità
Ma, nonostante gli stimoli a livello europeo e internazionale, e gli indubbi passi in avanti fatti negli anni, quando ci si confronta con gli altri l’Italia ancora arranca. Rispetto all’indice generale ‘Gender Equality Index’ proposto dall’European Institute for Gender Equality (EIGE) e che si concentra sui 27 Paesi appartenenti all’Unione Europea, l’Italia si colloca a metà classifica (13° posizione), con una performance complessiva inferiore alla media europea di 2 punti e con l’ultima posizione in UE per quanto riguarda la dimensione lavorativa (8,8 punti di divario rispetto alla media dei Paesi UE), sia in termini di partecipazione al mercato del lavoro che in termini di ‘segregazione occupazionale’ e qualità del lavoro.
Le 2 tipologie di discriminazione occupazionale che ancora penalizzano le donne
Se difatti il tasso di occupazione femminile è di molto cresciuto negli ultimi trent’anni, dall’altro continua a prevalere il fenomeno della segregazione occupazionale, che vede uomini e donne seguire differenti percorsi di carriera, con quest’ultime relegate in posizioni non di potere (segregazione verticale) e impegnate in settori e professioni che riproducono gli stereotipi di genere, con una differente concentrazione del genere femminile e maschile in determinati ambiti professionali (segregazione orizzontale).
L’importanza dei percorsi formativi per superare la segregazione orizzontale
Si tratta di considerazioni ampiamente sviluppate dall’Osservatorio JobPricing che ha presentato lo scorso dicembre per il nono anno consecutivo il proprio ‘Gender Gap Report – Mercato del lavoro, retribuzioni e differenze di genere in Italia’, redatto in collaborazione con LHH Recruitment Solutions e IDEM Mind The Gap. Secondo il rapporto in ordine alla segregazione orizzontale, ovvero la marginalità del genere femminile in molti profili professionali, per agire efficacemente nel colmare il divario di genere che ci allontana dai Paesi maggiormente avanzati sarebbe necessario intervenire ben prima dell’ingresso sul mercato del lavoro, ovvero nella fase scolastica e universitaria.
In Italia ancora poche studentesse scelgono curricula STEM e ICT
Sebbene infatti in Italia esista un gap a sfavore degli uomini nell’istruzione a livello generale (le donne, infatti, sono in media più istruite degli uomini – nell’ultimo anno le laureate hanno rappresentato il 59,7% del totale – e registrano performance migliori, a tutti i livelli), tale divario si ribalta se si considerano i percorsi di studio scelti da ragazze e ragazzi. È in effetti la mancanza di studentesse nei percorsi STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) e nei sempre più importanti percorsi di formazione in ICT che già all’origine determina un forte divario di genere, divario che si riflette direttamente sul mercato del lavoro considerando la forte richiesta di questi profili professionali e l’elevata retribuzione connessa.
Segregazione verticale-1: poche donne dirigenti e solo per specifiche funzioni
Considerando poi il fenomeno della segregazione verticale, ossia la sotto rappresentazione ai più alti livelli dirigenziali e manageriali, il rapporto dell’Osservatorio JobPricing indica come, anche in questo caso, il gap risulta particolarmente evidente: le donne rappresentano solamente il 17% del totale delle posizioni dirigenziali nel settore privato (percentuale che sale al 33% se si considera l’intero mercato del lavoro), mentre occupano il 52% delle posizioni impiegatizie (57% se si considera il mercato nella sua totalità). Inoltre, nel settore privato, la distribuzione di genere tra gli inquadramenti differisce sostanzialmente in base alla funzione ricoperta: le donne manager (dirigenti e quadro) sono più diffuse nelle funzioni di Auditing, Risk Management, Legal, Area Tecnica & Ricerca e Sviluppo, Risorse Umane e Organizzazione, Marketing e Comunicazione.
Segregazione verticale-2: progressi nei CdA ma non per i ruoli esecutivi
Prendendo in considerazione le posizioni apicali, il rapporto JobPricing sottolinea come, con la legge Golfo Mosca prima (2011), e con la legge di bilancio 160/2019 poi, il legislatore abbia voluto assicurare una presenza bilanciata di entrambi i generi negli organi di amministrazione e controllo delle imprese quotate. Gli effetti non sono mancati: proprio sulla spinta della normativa nel 2022 si è raggiunta la percentuale del 42,9 di donne nei CdA. Di certo un buon risultato dietro il quale, però, ad una più attenta lettura si cela un dato meno entusiasmante: la larga maggioranza delle donne ricopre ruoli non esecutivi, mentre la presenza femminile nei ruoli esecutivi è estremamente ridotta (il 15,9% circa sul totale). Tra queste ultime, inoltre, si deve sottolineare come le amministratrici delegate rappresentino solo il 2%, dato emblematico della persistenza del soffitto di cristallo nelle aziende.
Con la certificazione della Parità di Genere si riconosce l’importanza strategica del lavoro femminile
All’interno di questo complesso quadro in chiaro-scuro si inserisce il ‘Sistema di certificazione della Parità di Genere’ UNI/PdR 125:2022. Introdotta dal PNRR e disciplinata dalla legge n. 162 del 2021 (legge Gribaudo) e dalla legge n. 234 del 2021 (legge di Bilancio 2022), la certificazione della Parità di Genere è una opportunità volta ad accompagnare ed incentivare le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il divario di genere in tutte le aree maggiormente critiche per la crescita professionale delle donne. A fondamento della misura, oltre alle considerazioni di carattere etico e di giustizia sociale che ci si augura siano ormai consolidato patrimonio della cultura europea, risiede la convinzione che una maggiore inclusione delle donne nel mercato del lavoro costituisca uno strumento essenziale per migliorare la coesione sociale e territoriale, nonché di fondamentale importanza per la crescita economica del nostro Paese.
Colmare il gender gap è anche uno strumento di intelligenza economica
Chiudere il divario di genere significa di fatto accorciare la disuguaglianza e conseguentemente migliorare le condizioni di crescita economica e produttività, in termini di PIL e di tassi di occupazione, di crescita dell’innovazione e miglioramento delle performance finanziarie. A livello di singola organizzazione, poi, la strategia di genere è considerata essenziale per attrarre i migliori talenti e garantire prestazioni economiche, resilienza e continuità nel lungo termine: è dimostrato che gruppi di leader eterogenei prendono decisioni più basate sui fatti, che si traducono in risultati di qualità superiore.
Coopservice ha ottenuto la certificazione della Parità di Genere: per noi al contempo un importante risultato e un punto di partenza
Per un’azienda come Coopservice, caratterizzata dal 53% della forza lavoro di genere femminile e della stessa percentuale di rappresentanza di donne nel Consiglio di Amministrazione, il conseguimento della certificazione della parità di genere UNI/PdR 125:2022 rappresenta al contempo un importante risultato e un solido punto di partenza. Un importante risultato perché arricchisce di attestazione formale una corporate identity fortemente incentrata sull’inclusività e sulla valorizzazione delle diversità. Allo stesso tempo un punto di partenza perché il riconoscimento ottenuto costituisce un impegno e una responsabilità nel raggiungimento di obiettivi di perequazione continuamente migliorativi, nella piena consapevolezza che, anche per noi, la strada per un compiuto superamento del Gender Gap è ancora lungi dall’essere conclusa.