Smart working: ripensare le nostre coordinate di vita quotidiana
Se è vero che, come accade talvolta per le grandi tragedie dell’umanità, il lockdown ha pure generato importanti opportunità di progresso, l’adozione forzata dello smart working rappresenta senz’altro una delle occasioni più importanti di cambiamento destinata a rivoluzionare non solo l’organizzazione e le modalità del lavoro ma anche, più in generale, le nostre coordinate quotidiane di vita: abitazione, famiglia, azienda, ufficio, mobilità, connettività. Ridefinendo radicalmente gli stili di vita delle persone e l’assetto urbanistico di città e territori, a favore della qualità della vita e dell’ambiente.
Le resistenze al cambiamento
Non c’è dubbio che, terminato il lockdown ed acquisiti ‘sul campo’, al netto delle problematiche ancora aperte, da buona parte delle aziende e dei lavoratori gli ormai noti vantaggi del ‘lavoro da casa’ (produttività, economicità, responsabilizzazione), il fenomeno rischia di tornare nell’alveo della straordinarietà a causa della percezione di una riduzione del pericolo sanitario e soprattutto di una visione conservatrice che ancora attanaglia le politiche di gestione del personale. Per molti dirigenti e titolari di attività infatti rimane irrinunciabile esercitare un controllo visivo sull’attività dei dipendenti e, inoltre, l’adozione di compiute modalità ‘smart’ implica la necessità di un radicale ripensamento dell’organizzazione del lavoro: una esigenza, quest’ultima, che impatta frontalmente le ‘zone di comfort’ che notoriamente ostacolano i cambiamenti operativi.
Smart working, ovvero una questione di reciproca fiducia
A questo proposito giova ricordare due aspetti importanti: il primo, quello che abbiamo conosciuto nei mesi di chiusura non è, appunto, il vero lavoro ‘smart’ ma un riflesso condizionato, quasi una esigenza di sopravvivenza, che ha obbligato chi poteva semplicemente a trasferirsi nel giro di poche ore l’ufficio tra le mura di casa, rimandando ogni discorso riorganizzativo.
Il secondo aspetto riguarda quello che è forse il fondamento della questione: qualsiasi modalità di smart working richiede la presenza di un rapporto di fiducia reciproca tra dipendente e datore di lavoro o dirigente superiore. In un Paese come l’Italia in cui la ‘fiducia’ nelle relazioni tra le persone è una delle risorse di più difficile reperimento, soprattutto nei contesti di lavoro, c’era da aspettarsi che il ritorno ad una momentanea e relativa ‘normalità sanitaria’ avrebbe riproposto qualche resistenza. Come ha sottolineato Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, “è sbagliato sia l’atteggiamento delle aziende che stanno valutando questa strada solo per ridurre i costi, sia quello del dipendente che lo vive come un ripiego. Lo smartworking porta i risultati migliori quando genera motivazione, collaborazione. Nelle aziende da noi osservate si arriva a incrementi di produttività anche del 15-20%”.
Effetto ‘smart’ sul quotidiano: la riappropriazione dei tempi di vita
Perché questo incremento di produttività? Secondo uno studio di Marta Angelici dell’Università Bicocca e Paola Profeta dell’Università Bocconi con lo smart working, a parità di compenso, i dipendenti mettono uno sforzo maggiore nel lavoro, cioè appunto sono più produttivi. Secondo le due ricercatrici, questo risultato dipenderebbe dalla maggiore autonomia nella gestione del tempo, con il taglio di quello dedicato a raggiungere il posto di lavoro e una migliore organizzazione delle giornate passate in casa. Ecco dunque un primo indicatore di miglioramento: grazie allo smart working possiamo riacquisire la ‘proprietà’ dei nostri tempi di vita,organizzando in piena autonomia il tempo dedicato alla famiglia, al lavoro, agli hobby, al tempo libero. Con soddisfazione nostra ma anche del datore di lavoro perché quello che gli interessa (il raggiungimento degli obiettivi prefissati) risulta in generale più facilmente raggiungibile.
Effetto ‘smart’ sugli stili di vita: la decongestione delle strade e l’investimento in mobilità ecologiche
Ma oltre ai tempi vengono investiti anche gli ‘stili’ di vita: cosa cambia per i miei luoghi quotidiani se per lavorare non mi devo spostare da casa? La considerazione più banale è che le strade, come si è visto, vengono decongestionate dal traffico, con le ovvie positive ricadute in termini di diminuzione di stress, pericoli, perdite di tempo e inquinamento. Prendiamo ad esempio il caso estremo di Roma, che studi specifici hanno attestato essere la seconda città al mondo per ore perse nel traffico. Nella capitale ci sono circa mezzo milione di dipendenti pubblici: “se si proseguisse anche solo parzialmente l’esperienza di ‘lavoro da casa’ sperimentata durante il lockdown – ricorda Mariano Corso del Politecnico – sarebbe possibile toglierne almeno la metà dalle strade rendendo così la città molto più vivibile”. Discorsi analoghi valgono però naturalmente per qualsiasi città anche di piccole dimensioni (nelle quali non sono tra l’altro disponibili le opportunità di trasporto pubblico presenti nei grandi centri) e sono estendibili ad ogni settore lavorativo. Il fattore meno auto sulle strade, inoltre, allevierebbe per gli enti locali la necessità di dovere continuamente far fronte al potenziamento delle reti viarie a tutto vantaggio di investimenti, oggi sovente sacrificati, in piste ciclabili e percorsi protetti.
Effetto ‘smart’ sugli assetti urbanistici: minore densità abitativa nei centri urbani
E poi c’è la questione abitativa. Non c’è dubbio che la comodità di raggiungimento del posto di lavoro influisce sulla scelte residenziali di famiglie e individui. La tendenza all’inurbamento è una pericoloso fenomeno segnalato in tutto il mondo e non è un caso se in Italia in testa alle classifiche dei prezzi al metro quadro figurano gli immobili dei principali centri urbani. Ma se l’esigenza quotidiana della vicinanza del mio luogo di lavoro diventa meno stringente? Sicuramente ne beneficerebbe una migliore distribuzione della popolazione tra città e ‘campagna’. Non a caso ad esempio l’architetto olandese Rem Koolhaas parla della campagna “come un nuovo terreno dinamico che può competere con la città: se è servita bene può offrire una qualità di vita più alta della metropoli”.
La riscoperta della vita nei ‘borghi’
Del resto tutto quello che serve sono collegamenti funzionali e, soprattutto, una efficiente connettività. Nel nostro Paese a questo proposito scontiamo sicuramente ancora un ritardo nella diffusione della banda larga ma possiamo contare su una discreta copertura delle reti mobili, seppur con le abituali differenze tra nord e sud Italia. La presenza di questi elementi può aprire la porta a scelte di vita radicali, oggi forse ‘avanguardistiche’ ma che una diffusione su larga scala dello smart working porterebbe ad essere valutabili da un numero crescente di persone. Indicativa in questo senso l’esperienza del giornalista Giacomo Talignani, riportata da Repubblica: “Abitavo a Parma, dove ero tornato dopo un periodo a Roma. Prima della pandemia mi sono spostato a Mola di Bari. Vivo in una casa ampia e con due terrazze a quattrocento metri dal mare, per la quale pago un affitto che è la metà di quello di Parma. E se mi devo spostare ho l’aeroporto di Bari a venti minuti di macchina”. Proprio la liberazione dalle concentrazioni urbane a vantaggio dei piccoli centri di provincia a misura d’uomo è oggetto di un numero crescente di studi e riflessioni quali la profezia di Stefano Boeri, l’architetto del ‘bosco verticale’: “Via dalle città, nei vecchi borghi c’è il nostro futuro”.
Le potenzialità dell’Italia nel nuovo mondo degli ‘smart worker’
Ma c’è di più. Se è vero che quella del lavoro ‘smart’ è una rivoluzione planetaria in corso e forse ancora solo agli inizi, praticata a piene mani dalle aziende simbolo della contemporaneità (Google, Twitter, Amazon, Microsoft, Facebook, ma l’elenco sarebbe infinito), ci sono luoghi dove il ‘lavorare da casa’ potrebbe essere più piacevole di altri. In questo senso il nostro Paese ha sicuramente qualche carta da spendere: storia, cultura, paesaggio, cibo, clima. Insomma ‘lavorare dall’Italia’ nel mondo potrebbe essere un’idea su cui investire per attrarre nuovi residenti qualificati. Come ha recentemente ricordato Riccardo Luna nella sua rubrica ‘Stazione Futuro’: “Ci sono i paradisi fiscali, per non pagare le tasse, e andrebbero aboliti; ci possono essere i paradisi degli smart worker, posti dove lavorare immersi nella bellezza e connessi al resto del mondo. Perché non l’Italia?”.