Pochi mesi fa, l’ISTAT ha pubblicato il suo 26° Rapporto Annuale sulla situazione del Paese. Una delle relazioni che compongono il rapporto riguarda le reti sociali e analizza nel dettaglio il sistema delle relazioni di aiuto reciproco, solidarietà e collaborazione. Il fattore che determina se una persone faccia parte o no di queste statistiche è l’aver svolto un’attività gratuita negli ultimi 12 mesi: si parla del 13,2% di italiani che hanno più di 14 anni.
Chi fa volontariato in Italia?
L’analisi dell’ISTAT parla chiaro: la quota di volontari è molto più alta della media nei
gruppi sociali con reddito medio alto e titoli di studio elevati, cioè tra gli appartenenti alla classe dirigente (23,5%), seguiti da quelli delle famiglie di impiegati e delle pensioni d’argento (rispettivamente il 18,8% e il 18,1%). Le percentuali decrescono allo spostarsi negli altri gruppi sociali, fino ad arrivare alle famiglie a basso reddito con stranieri (4,3% – quasi nove punti percentuali sotto la media).
Altre caratteristiche che influiscono sulla possibilità di dedicare il proprio tempo al volontariato sono l’età e il ruolo famigliare, soprattutto per le donne: le single in età attiva sono più partecipative (19%) e le figlie femmine sono più attive dei maschi.
Anche la presenza o meno di figli nel nucleo famigliare influisce sulla scelta: le coppie senza figli in età attiva vedono il 18.3% degli uomini e il 14,9% delle donne impegnate in attività di volontariato, contro rispettivamente il 15% e l’11,9% di quelle con figli.
In ogni caso, il volontariato viene considerato in Italia come una delle attività più “piacevoli” della giornata (agli ultimi posti studio e lavoro). La considerazione che fare volontariato genera un effetto benefico viene confermata anche dai dati.
I lati positivi dell’attività di volontariato
Il rapporto sottolinea un fatto di grande importanze: il volontariato favorisce il rafforzamento della fiducia interpersonale e abitua le persone a fidarsi l’una dell’altra, in modo da raggiungere i proprio obiettivi e quelli in comune, stimolando lo sviluppo di sentimenti positivi.
In altre parole, favorisce la percezione che, in caso di bisogno, esistono persone disposte ad aiutare. Questo sentimento ci rassicura sulla qualità dell’ambiente sociale e attenua la diffidenza verso gli altri.
Non a caso, dall’analisi dell’ISTAT emerge uno stretto rapporto tra volontariato e benessere: spesso chi vive meglio fa più volontariato e chi fa volontariato vive meglio. I dati ci indicano, infatti, che sceglie di fare volontariato principalmente chi ha condizioni di vita migliori ma anche che chi fa volontariato migliora la propria condizione di benessere personale. Vediamo un po’ di dati a sostegno di questa tesi.
Il 40,1% dei volontari si dichiara molto soddisfatto per le relazioni familiari contro il 32,7% di chi non svolge attività gratuite; lo stesso avviene nelle relazioni con gli amici, nel giudizio sul proprio tempo libero e sulla salute: 32,8% contro il 22,5% nel primo caso, 20,7% contro 13,8% nel secondo caso e 22,3% contro 16,8% nel terzo caso.
Analizzando i dati sul giudizio per la propria vita nel complesso, più del 50% di chi fa volontariato ha dato voti alti alla propria situazione complessiva, mentre tra chi non fa attività gratuite ci si ferma al 40%. Chi si impegna manifesta, inoltre, una maggiore propensione all’ottimismo, con aspettative sul futuro più rosee: il 35,9 per cento dei volontari crede che la sua situazione personale migliorerà, contro il 25,6 dei non volontari.