Le diseguaglianze non sono solo economiche
Come già nel caso della lotta alla povertà, sarebbe riduttivo concepire l’impegno alla riduzione delle diseguaglianze delle Nazioni Unite, Obiettivo 10 dell’Agenda 2030, unicamente in una dimensione economica e reddituale.
Così come la povertà, anche l’uguaglianza delle opportunità e delle condizioni si caratterizza infatti quale realtà multidimensionale, che richiede approcci integrati e programmazioni coordinate di interventi estesi al campo sociale, sanitario, culturale, ambientale, politico.
Per questo la formulazione del Goal 10 sottolinea come ci si debba concentrare “su ogni tipo di disuguaglianza, anche quelle che riguardano età, sesso, disabilità, etnia, origine, religione o altro”.
I divari reddituali tra le regioni del mondo e tra i singoli Paesi
Partendo in ogni caso dalla forma più evidente, ovvero quella economico-reddituale, va innanzitutto ricordato come a livello planetario si registri una diseguale distribuzione della ricchezza tra i diversi Paesi. I dati economici per abitante segnalano un evidente squilibrio tra le aree europee e nordamericana (con l’aggiunta della Penisola araba e dell’Australia) e il resto del mondo, in particolare l’Africa Sub-sahariana e l’Asia centrale.
A ciò si aggiungono le differenze all’interno dei singoli Paesi, schematizzabili ricorrendo alla celebre definizione coniata per il mondo occidentale da Peter Glotz negli anni ‘80 (e ripresa da sociologi quali Ralph Dahrendorf e Zygmunt Bauman) di ‘società dei due terzi’: nei Paesi a maggior tasso di sviluppo ad una percentuale tra il 60 e il 70 per cento della popolazione è data la possibilità di partecipare ai benefici della crescita economica, mentre il rimanente 30/40 per cento ha accesso a meno del 25 per cento del reddito complessivo nazionale.
La crescente concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi
Esaminando nell’ultimo decennio, a livello globale, la crescita del reddito di questo 40 per cento ‘povero’ rapportata a quello della popolazione nel suo complesso si notano sostanziali miglioramenti: il valore del rapporto è generalmente aumentato, a favore della componente più povera.
Tuttavia tali progressi fanno da contraltare alla sempre più marcata tendenza alla concentrazione eccessiva di ricchezze nelle mani di pochi.
Recenti indagini e analisi socio-economiche indicano, quale tendenza generalizzata, che una quantità crescente della ricchezza prodotta in un determinato Paese finisce nelle mani di una percentuale molto ridotta della popolazione, mediamente quantificabile intorno all’1%.
Diverso è il discorso per i Paesi in via di sviluppo (PVS), nei quali le proporzioni del rapporto benessere/povertà nel migliore dei casi si invertono e in cui la ‘forbice sociale’ tra chi ha tanto o abbastanza e chi ha poco o nulla si è allargata, secondo le più recenti indagini, mediamente dell’11 per cento.
Numero e proporzioni che lo tsunami della pandemia da Covid-19 ancora in corso rischia di aggravare ulteriormente, presentando il conto soprattutto alle popolazioni che già vivevano ai margini dello sviluppo.
Le molteplici dimensioni della lotta alle diseguaglianze
Non vi è dubbio che per queste popolazioni l’attivazione di una crescita economica duratura e sostenibile, da perseguire prima di tutto attraverso politiche di industrializzazione e di dotazione infrastrutturale, rappresenta la strada principale per la riduzione delle diseguaglianze.
I programmi in via di attuazione da parte degli organismi internazionali cercano principalmente di favorire l’incremento del Pil dei Paesi in via di sviluppo, anche attraverso interventi di sostegno mirati quali le facilitazioni per le loro esportazioni (il 66% di esse, ancora nel 2017, è stato “duty free”).
Tuttavia oggi è ormai consapevolezza condivisa che il miglioramento della condizione economica sia una componente fondamentale, diremo irrinunciabile, ma non sufficiente per la riduzione strutturale delle diseguaglianze.
La concezione dello sviluppo sostenibile implica infatti che occorre contemporaneamente agire anche sulle dimensioni sociale, ambientale e culturale: le condizioni delle popolazioni svantaggiate o emarginate non potranno conoscere miglioramenti duraturi se non attraverso un salto di qualità dell’intero “sistema”, a partire da ambiti fondamentali per i progetti di vita e il benessere delle persone quali l’istruzione e l’accesso ai servizi fondamentali (sanità, acqua, energia).
La necessità di un approccio integrato all’Obiettivo 10 dell’Agenda 2030
L’ambizione dell’Agenda 2030 è dunque quella di affrontare “qualsiasi tipo di disuguaglianza”, grazie all’approccio integrato e “sistemico” assicurato dall’attuazione dei 17 Goal che la compongono.
Una impostazione, questa, che è rintracciabile nell’elencazione dei Target in cui si articola l’Obiettivo 10 e che trova conferma nei molteplici progetti che le Nazioni Unite hanno avviato, con particolare attenzione ai Paesi in via di sviluppo.
Progetti che si propongono di fronteggiare le diseguaglianze di genere, quale ad esempio quello denominato EPIC (Equal pay international coalition), ovvero la messa in campo di una coalizione che riunisce molteplici soggetti con la finalità di ridurre il divario retributivo di genere.
Così come le iniziative sostenute da UNDP (United Nations Development Programme) per superare le diseguaglianze nei Paesi dove i diritti umani sono più a rischio, combattendo le discriminazioni di tipo etnico, religioso, sessuale e creando opportunità di integrazione per categorie a rischio di esclusione sociale quali ad esempio i portatori di disabilità e i migranti.
O ancora come gli specifici programmi per l’uguaglianza dei diritti dell’infanzia (nei Paesi in via di sviluppo i bambini facenti parte del 20% più povero della popolazione hanno una probabilità fino a tre volte maggiore di morire prima di aver compiuto cinque anni rispetto ai bambini provenienti da famiglie più benestanti) e delle giovani donne (nei PVS la donne delle aree rurali hanno una probabilità fino a tre volte maggiore di morire durante il parto rispetto alle donne che abitano in città).
In Italia crescono le diseguaglianze (e il Covid sta peggiorando la situazione)
Nonostante si siano verificati leggeri miglioramenti nel quadriennio 2015-2019, la situazione nel nostro Paese registra una crescita del divario di reddito tra la popolazione più ricca e quella più povera, nonché tra le diverse regioni con l’accentuazione, negli anni più recenti, del ritardo del Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord.
Attualmente in Italia il 20% più ricco della popolazione gode di redditi 6 volte maggiori del 20% più povero, rispetto a una media europea che si attesta a 5 volte: si tratta di uno scostamento che è aumentato costantemente nel decennio 2010-2019.
Del resto in epoca pre-Covid la lunga recessione e la debole ripresa economica hanno profondamente inciso sul tessuto sociale del Paese, in particolare sulle fasce più deboli, determinando un incremento delle diseguaglianze di reddito particolarmente accentuato nelle regioni meridionali ma anche registrabile in aree del Centro-Nord quali Umbria, Lazio e Lombardia.
Nel 2020, poi, la crisi epidemica sta colpendo in modo asimmetrico i diversi settori economici, i vari gruppi sociali e i diversi territori. Come si evince dal grafico dell’andamento dell’apposito indicatore messo a punto da Asvis (l’organismo che nel nostro Paese monitora il raggiungimento degli Obiettivi dell’Agenda 2030) essa determinerà un forte aumento delle disuguaglianze, con un effetto molto negativo, presumibilmente anche nel medio periodo, sullo stato di attuazione del Goal 10.