20.12.2022
Ambiente
La Cop 27, il boom delle rinnovabili e il ‘ground zero’ del Climate Change
C’è un luogo sulla Terra dove il futuro che non deve mai arrivare è già diventato realtà

La battaglia per il clima, nonostante tutto, avanza

Non ci sono solo notizie deludenti riguardo la lotta al Climate Change. Gli ormai abituali commenti negativi che accompagnano l’esito delle annuali Conferenze sul Clima (Cop) indette dall’Onu non esauriscono l’inquadramento complessivo dello scenario. Come sempre più spesso accade in qualsiasi ambito di attività umana l’evoluzione delle cose, pur sottotraccia, è vorticosa. E le più recenti novità non sono di poco conto. Dapprima la certificazione di una notevole accelerazione nell’incremento della produzione da fonti rinnovabili. Poi l’annuncio del Lawrence Livermore National Laboratory, uno dei principali centri di ricerca federale statunitense, di un possibile punto di svolta nello sviluppo della tecnologia della fusione nucleare (cioè il nucleare ‘pulito’, generabile da elementi naturali e senza produzione di scorie).

Il progresso continuo e impetuoso dell’energia pulita è un dato di fatto

Ma andiamo con ordine. Lo scorso 6 dicembre l’Aie, l’Agenzia internazionale dell’Energia, ha pubblicato il suo ultimo resoconto sull’andamento delle rinnovabili e il dato principale è proprio questo: la crisi energetica in corso ha dato uno slancio “senza precedenti” allo sviluppo delle fonti energetiche green, la cui produzione dovrebbe raddoppiare nei prossimi 5 anni. Secondo l’Aie, infatti, la produzione mondiale di energie rinnovabili aumenterà di 2.400 gigawatt (GW) fra il 2022 e il 2027, un terzo di più delle previsioni di un anno fa. Per dare l’idea, si tratta di un ammontare che corrisponde all’intera produzione di elettricità attuale in Cina.

Sulle rinnovabili è già in pieno corso la competizione internazionale

A che cosa è dovuto questo balzo repentino? Di sicuro gioca molto la volontà dell’Europa, a fronte del drastico mutamento delle relazioni con la Russia e dello shock energetico ancora in corso, di affrancarsi dalla dipendenza da tutte le fonti fossili a partire ovviamente dal gas russo. Ma se nei prossimi 5 anni raddoppieranno le installazioni europee di fonti rinnovabili, le altre grandi potenze industriali, pur se meno preoccupate dalle ripercussioni del conflitto ucraino, non stanno certo a guardare. In Cina, India e, soprattutto, Stati Uniti sono stati infatti approvati piani di sviluppo più ambiziosi del previsto, varando politiche di sostegno pubblico ad enormi investimenti nel campo delle energie rinnovabili.

Solare + Eolico è (per ora) la combinazione energetica dell’immediato futuro

Così l’Agenzia prevede che, a livello mondiale, solare ed eolico costituiranno già dal 2025 la prima fonte di energia. Ciò vale soprattutto per la capacità globale del solare fotovoltaico che è destinata quasi a triplicare nel periodo 2022-2027, superando il carbone e diventando la più grande fonte di capacità elettrica al mondo. Ma vale anche per l’eolico, sia nella versione on-shore (installazioni su terra) che off-shore (nei mari), con la previsione di un raddoppio di produzione nello stesso periodo. Il risultato, nelle stime Aie, è che la combinazione eolico più solare rappresenterà oltre il 90% della capacità di energia rinnovabile raggiunta nei prossimi cinque anni.

L’accelerazione sulle tecnologie green non basta però a salvare il Pianeta

Questa accelerazione è sufficiente a dare speranze del rispetto del principale obiettivo dell’Accordo di Parigi, ovvero il contenimento dell’incremento della temperatura media globale a 1,5 gradi rispetto all’epoca preindustriale? Di certo, scrive l’Agenzia, la crescita delle rinnovabili sarebbe migliorabile di un ulteriore 25% se si favorisse la semplificazione degli iter autorizzativi delle installazioni così come una più rapida diffusione del ricorso all’elettricità nei settori del riscaldamento e dei trasporti. Ma, soprattutto, il non superamento della soglia critica del global warming non può prescindere dall’altra gamba del problema: il radicale contenimento delle emissioni di CO2. E quindi entrano in ballo le (deludenti) conclusioni della Cop27 di Sharm el Sheikh, chiusa lo scorso 18 novembre.

La Cop 27 e la teoria del bicchiere

Come per le edizioni precedenti anche questa volta le conclusioni della Climate Conference delle Nazioni Unite possono prestarsi ad una duplice lettura. Il bicchiere mezzo pieno va individuato nelle ‘prime volte’ di alcune questioni contenute nel documento finale. Per la prima volta c’è l’accordo (anche se per ora solo sulla carta) per l’istituzione di un fondo di compensazione ‘Perdite e danni’, in cui i principali Paesi industrializzati faranno confluire risorse per aiutare le ‘ricostruzioni’ di chi sta maggiormente pagando gli effetti del Climate Change. Si tratta dei Paesi a più basso sviluppo che si trovano esposti già oggi ad eventi catastrofici senza praticamente portarne alcuna responsabilità (per fare un esempio l’Africa è responsabile solo del 4% delle emissioni globali). In più per la prima volta il documento finale esplicita la necessità di “accelerare transizioni pulite ed eque verso le energie rinnovabili”.

La persistente timidezza sulla ‘mitigazione’ climatica

Poi c’è il bicchiere mezzo vuoto, rappresentato appunto dalla perdurante inerzia sulla effettiva riduzione delle emissioni di gas serra. È la questione focale della ‘mitigazione’, su cui il fuoco di sbarramento combinato dei Paesi produttori di energie fossili e dei grandi consumatori in pieno sviluppo (Cina e India su tutti) ha consentito solo di replicare le formule compromissorie già viste lo scorso anno alla Cop di Glasgow. Dunque “riduzione progressiva” e non “eliminazione” del carbone, e nessun cenno di estensione del segno meno all’utilizzo delle altre fonti fossili, ovvero petrolio e gas. Con grande disappunto dell’Unione Europea che nel corso della Cop ha alzato dal 55 al 57% l’asticella del proprio obiettivo di riduzione di CO2 al 2030.

Senza svolta sulla mitigazione… prepariamo catastrofi alle prossime generazioni

C’è di buono che almeno l’obiettivo di limitare l’aumento di temperatura del secolo a +1,5° è stato confermato, perché anche questo è stato in dubbio sotto l’azione dei Paesi produttori di fonti fossili. Rimane tuttavia una sfida titanica, ben lontana dall’essere vinta: viene stimato che ai trend attuali, e senza un deciso cambio di passo nell’abbattimento delle emissioni, l’incremento di temperatura a fine secolo sarà addirittura quasi doppio attestandosi a + 2,8°. Con gli inevitabili cataclismi conseguenti.

Il ‘ground zero’ del Climate Change è già tra noi

Tutto questo nonostante ci siano zone del mondo in cui la catastrofe si può già toccare con mano. Nell’Africa orientale, già duramente provata dalle conseguenze del conflitto in Ucraina (il 90% delle importazioni di grano proveniva dalle 2 nazioni in guerra), una siccità che perdura da almeno 4 anni ha provocato la morte di 9 milioni di capi di bestiame, portando alla fame quasi 40 milioni di persone. Si tratta del territorio compreso tra Etiopia, Kenya e Somalia, già funestato da guerre tribali infinite, a cui si può addebitare appena l’1,2 per cento delle emissioni globali di gas climalteranti. Se qualcuno volesse gettare lo sguardo sulle conseguenze che ci aspettano troverebbe nel Corno d’Africa il ‘ground zero’ del clima malato, il luogo dove il futuro che non deve mai arrivare è già diventato realtà.

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