L’importanza della biodiversità e la delusione per gli ‘Aichi target’
Che la battaglia per la salvaguardia della biodiversità sia il pilastro della lotta al climate change e il fondamento dello sviluppo sostenibile dovrebbe essere ormai patrimonio comune. A maggior ragione nel momento in cui, a valle della catastrofe Covid, tutti dicevamo di avere capito una delle lezioni della pandemia: la perdita di biodiversità e il degrado della natura stanno aiutando la diffusione di malattie devastanti per esseri umani e animali. Ma ad oggi i risultati migliorativi, che pure sono verificabili, sono ancora troppo timidi, tant’è vero che si parla apertamente di “disastro” degli Aichi target.
La biodiversità garantisce le risorse essenziali per la vita sulla Terra
Si tratta dei 20 obiettivi riguardanti la protezione e il ripristino della biodiversità stabiliti nel 2010 a Nagoya (prefettura di Aichi, in Giappone) dall’annuale seduta della Convenzione Onu specificatamente istituita, cui parteciparono circa 200 Stati. Si era all’inizio del decennio delle Nazioni Unite dedicato alla biodiversità e l’impegno assunto era di attuare i target al 2020: ad oggi nessuno dei 20 obiettivi è stato centrato. Un inadempimento gravido di conseguenze poiché con la parola biodiversità non ci si limita a riferirsi alla sconfinata varietà di piante, animali e microrganismi che popolano il Pianeta, ma anche alla preservazione della pluralità degli ecosistemi (aria, oceani, mari, laghi, fiumi, foreste, deserti, monti, paesaggi rurali) che, oltre ad ospitare le miriadi di forme viventi sulla Terra, forniscono le risorse essenziali all’umanità.
3 recenti (buone) notizie che portano ottimismo alle battaglie per l’ambiente
Eppure, a fronte della delusione per i risultati fin qui ottenuti, ci sono alcuni dati, report e documenti pubblicati nelle scorse settimane che dimostrano che le battaglie per l’ambiente, se svolte seriamente e su scala globale, possono portare a risultati concreti. 3 sono le notizie più significative. La prima riguarda il miglioramento della situazione del ‘buco nell’ozono’, ferita ambientale che preoccupa il mondo dal momento in cui fu rilevato (inizio anni ‘80). Ci si riferisce allo strato di gas che protegge la Terra dalle radiazioni solari dannose e che da allora è sotto osservazione per la sua progressiva riduzione. Un recente rapporto dell’Onu attesta che, a distanza di oltre 40 anni, grazie all’attuazione dei protocolli globali per la riduzione dei ‘gas serra’ la situazione sta migliorando.
Buco nell’ozono, Mediterraneo, Kunming-Montreal: segnali di inversione di marcia
La seconda notizia è che, pur nell’ambito del perdurante riscaldamento dei mari del Pianeta, lo scorso anno il Mediterraneo ha registrato una prima inversione di tendenza. Si tratta di un dato medio, certo parziale, di interpretazione complessa, ma non per questo va fatto passare sottotraccia. Infine la novità, non certo ultima per importanza, dei risultati della Conferenza delle Parti (Cop 15) della Convenzione sulla Diversità Biologica delle Nazioni Unite tenutasi lo scorso dicembre a Montreal. I Paesi partecipanti hanno infatti adottato un accordo molto ambizioso (battezzato Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework) per invertire la rotta di decenni di azione umana distruttiva dell’ambiente.
I principali risultati della Cop 15 sulla biodiversità
L’accordo raggiunto, presentato dalla Cina (altro dato significativo) che presiedeva la Conferenza, prevede un’ampia estensione delle aree protette della Terra e un contestuale aumento dei fondi destinati alla loro salvaguardia. Più specificatamente l’accordo prevede che le aree protette – sia terrestri che marine – diventino il 30 per cento del totale entro il 2030 (oggi sono il 17 per cento di quelle terrestri e l’8 per cento di quelle marine). E stabilisce l’annuale raccolta di 200 miliardi di euro per sostenere le politiche per la biodiversità; di questi, almeno 20 miliardi saranno destinati ai paesi più poveri – cioè circa il doppio di quelli attualmente erogati – programmando di portarli a 30 entro il 2030.