08.05.2025
Patrimonio
Più partecipazione ai mercati, più energia e infrastrutture, meno debito pubblico: la controagenda di Larry Fink
La ‘Lettera agli Azionisti’ 2025 del Ceo della più grande società di gestione patrimoniale al mondo tra critiche al protezionismo americano e rinnovata priorità alle esigenze della crescita economica (a discapito di ESG e D&I).

La ‘Lettera di Fink’, appuntamento fisso per capire le tendenze ‘mainstream’ del capitalismo contemporaneo

Fa un certo effetto leggere l'edizione 2025 della ‘Lettera agli azionisti’ del Ceo di BlackRock, il più grande fondo privato di investimento planetario (11.550 miliardi di dollari al gennaio scorso), in controluce con gli avvenimenti e le turbolenze che l’hanno seguita di pochi giorni, a partire dal ‘Liberation Day’ con i dazi ‘epocali’ annunciati dal nuovo governo degli Stati Uniti. Se la ‘Lettera’ annuale rappresenta ormai una sorta di enciclica laica per i mercati (ancora) globalizzati allora si capisce come, al di là del dissenso espresso sulle nuove politiche protezionistiche, ci sono questioni che precedono le politiche trumpiane e che preoccupano gli operatori da cui dipendono le scelte di investimento su scala mondiale. 

Houston abbiamo un problema (tra tanti), ma i dazi sono la risposta sbagliata 

Certo a Larry Fink la discesa in picchiata verso il nuovo mondo dei dazi non piace, concetto ribadito all’indomani del ‘Liberation Day’ in un’intervista televisiva: "L'incertezza e l'ansia sul futuro dei mercati e dell'economia dominano ogni conversazione con i nostri clienti. Le tariffe dei dazi introdotte o annunciate dal governo degli Stati Uniti sono andate ben oltre quanto avrei potuto immaginare in quasi cinque decenni di esperienza finanziaria, ed è un dato di fatto che l'instabilità economica e le politiche commerciali aggressive stanno determinando una probabile recessione e inducono una crescente prudenza nelle decisioni di investimento.” Ma già nella ‘Lettera’ il capo di BlackRock aveva annusato l’aria e aveva messo le mani avanti: il protezionismo è la risposta sbagliata a problemi reali. 

Le economie “gemelle e rovesciate” dei Paesi più sviluppati 

Quali sono questi problemi? Primo, un assetto del capitalismo che sta approfondendo le diseguaglianze economiche e sociali, non solo tra Nord e Sud del mondo, ma anche all’interno delle economie più sviluppate “in cui sono presenti economie gemelle e rovesciate: una in cui la ricchezza crea ricchezza e un’altra in cui le difficoltà creano altre difficoltà”. Una questione, questa, che ha determinato i nuovi assetti politici (in primis la vittoria di Trump alle presidenziali americane) e che ha alla sua base un’idea inespressa, quella secondo cui il capitalismo non ha funzionato e che quindi bisogna provare qualcosa di nuovo. 

Apertura contro chiusura: per Fink il rimedio è la maggiore partecipazione alla creazione di ricchezza

Ma “c’è un altro modo di vederla” che, nella visione di BlackRock, indica una strada radicalmente alternativa al protezionismo: il capitalismo ha funzionato, e anche molto bene, ma per troppo poche persone contribuendo così alla crescente concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi e nell’impoverimento dei più. Secondo Fink il rimedio possibile consiste allora nella “democratizzazione dei mercati”, consentendo a sempre più risparmiatori di partecipare agli investimenti remunerativi di cui necessita la nuova economia delle infrastrutture digitali e sostenibili. 

Tutti i pericoli della crescita incontrollata del debito pubblico 

Anche perché c’è un secondo, grosso problema. Tali infrastrutture richiedono investimenti di tale portata che non possono essere solo caricati sul debito pubblico il quale, in quasi tutti i Paesi avanzati, ha raggiunto livelli che rischiano di essere non più sostenibili. E ciò vale in particolare per gli Stati Uniti il cui debito nazionale dal 1989 è cresciuto a un ritmo tre volte superiore a quello del PIL e la cui sostenibilità è stata fin qui assicurata dalla disponibilità degli investitori di tutto il mondo a finanziarlo pur a fronte di rendimenti piuttosto bassi. 

Traballa il piedistallo su cui appoggia la moneta americana 

Su cosa si fonda però questa disponibilità? Sulla totale fiducia nel dollaro, in virtù del fatto che nel dopoguerra esso ha sempre mantenuto la funzione di moneta di riserva del mondo. Una prerogativa vitale che però, avverte BlackRock, non può più essere data per scontata. Così, se la dinamica del debito non verrà messa sotto controllo il dollaro rischia di perdere il suo status di moneta di scambio dell’economia mondiale. Ma non a favore dell’euro o dello yuan cinese. Piuttosto, a favore del bitcoin o di qualche altra attività digitale (stablecoin) emessa da un operatore privato. Un ribaltone radicale che significherebbe un autentico salto nel vuoto per gli assetti economici planetari. 

Il riallineamento delle priorità di Fink: meno ESG, meno D&I, più rilancio delle performance 

Più in generale, se consideriamo l’annuale ‘Lettera’ come una occasione fissa per districarsi in un domani sempre più nebuloso cogliendo il punto di vista ‘mainstream’ dei mercati finanziari, l’edizione 2025 conferma un orientamento che probabilmente precede (e forse anche in parte spiega) il radicale cambio di scenario alla Casa Bianca con lo spostamento dell’attenzione prioritaria dagli scenari di sostenibilità ecologica e sociale alle questioni di più immediato impatto: dalle dinamiche inflazionistiche alla sostenibilità del sistema previdenziale, alla necessità di fornire fondamenta più solide alla transizione energetica non limitandosi al pur necessario investimento progressivo sulle fonti rinnovabili.   

Un riorientamento che precede (e in parte spiega) i nuovi assetti politici 

L’aggressività delle politiche commerciali dell’era Trump, con il portato dei pericoli inflazionistici e recessivi, si abbattono dunque, accentuandolo, su un riorientamento che le precede e che dopo secoli di storia dimostra ancora una volta come difficilmente l’economia capitalistica si lasci guidare dagli joystick delle politiche di lungo termine a discapito della necessità di governare le più vicine contingenze. Cash is cash, i bilanci devono tornare, meglio se in crescita e non è certo una novità che “nel lungo termine siamo tutti morti: gli uomini stabiliscono politiche basate su ciò che accade ora, non su ciò che è giusto in teoria” (J.M.Keynes). Dopodiché, definire ‘teoria’ il climate change appare leggermente fuori luogo e, per tale motivo, il reindirizzamento in atto non può certo dimenticarsi, perlomeno, della transizione energetica. 

Favorire la partecipazione dei risparmiatori ai necessari investimenti infrastrutturali

Così, nella previsione di Fink, nei prossimi 15 anni lo sviluppo necessiterà di un forte incremento degli investimenti in infrastrutture, a partire dalle fonti energetiche ma non solo (porti, strade, data center). E la conseguente necessità di drenare capitale privato rappresenta per lui un’occasione storica per consentire ai risparmiatori di ogni taglia di partecipare alla correlata remunerazione. Perché, se è vero che il capitalismo ha funzionato, producendo negli ultimi 40 anni una crescita del PIL globale superiore a quella degli altri 2.000 anni messi insieme, è altrettanto vero che di questa crescita hanno beneficiato troppo poche persone rendendo irrinunciabile perseguire una ‘democratizzazione’ dei mercati, così da espanderli. 

La scommessa: mettere in circolo l’enorme patrimonio ‘assopito’ sui conti correnti 

Le economie si basano sul capitale, ricorda Fink. Il denaro deve venire da qualche parte ma, storicamente, la maggior parte dei finanziamenti è arrivata da banche, società e governi, non dal mercato dei capitali. Ma oggi le condizioni sono cambiate, nel senso che c’è una crescente discrepanza tra la domanda di investimenti e il capitale disponibile dalle fonti tradizionali. I governi non possono finanziare le infrastrutture attraverso i deficit, già oggi troppo alti, così ci si dovrà rivolgere a investitori privati. “Nel frattempo, le aziende non si affideranno esclusivamente alle banche per il credito, perché i prestiti bancari sono limitati. Invece le aziende andranno ai mercati, i quali possono essere alimentati dalla quantità enorme di denaro che giace inutilizzata nelle banche e nei fondi monetari”, una disponibilità che attende di essere valorizzata, se non altro per dare una base più solida alla sostenibilità del sistema pensionistico nei prossimi anni. 

Il domani richiede di moltiplicare esponenzialmente le disponibilità energetiche 

Del resto, i costi delle infrastrutture sono fuori dalla portata anche delle aziende più strutturate, ma anche le banche da sole non sono in grado di soddisfare le esigenze di capitale delle aziende in crescita: un singolo data center AI, ricorda Fink, può costare tra i 40 e i 50 miliardi di dollari. E a sua volta, come noto, l’ascesa dell’intelligenza artificiale aumenta esponenzialmente la domanda globale di elettricità, “un singolo data center può assorbire 1 gigawatt di elettricità, quanto serve per alimentare la città di Honolulu nel giorno più caldo dell’anno”. Insomma, il futuro richiede investimenti infrastrutturali enormi. Ecco perché, nella visione di Fink, il credito privato fondato sul risparmio delle famiglie può aiutare a colmare questo gap.  

Non solo energie rinnovabili: un mix energetico per garantire le forniture 

Ma proprio la fornitura e la distribuzione dell’energia necessaria ad alimentare il ‘nuovo mondo’ iper-tecnologico richiede pragmatismo, nel senso che “occorre avere le idee chiare sul mix energetico”. Se la maggior parte dei nuovi investimenti infrastrutturali è confluita nelle energie rinnovabili, non si può non considerare che senza grandi progressi nello stoccaggio, l'eolico e il solare da soli non possono bastare. Nel breve termine non possiamo rinunciare ai generatori energetici che garantiscono stabilità di fornitura indipendentemente dalle condizioni climatiche, “in caso contrario, l'aria condizionata si spegnerà, i server si surriscalderanno e i data center si spegneranno”. 

Il ritorno della tecnologia nucleare

E allora come risolvere il dilemma stabilità-sostenibilità? Fink rispolvera una parola abbandonata negli scorsi decenni: nucleare. Del resto, spiega il Ceo di BlackRock, il nucleare di oggi non è il vecchio modello di enormi centrali con le minacciose torri di raffreddamento. I piccoli reattori modulari (SMR) sono tutto ciò che il vecchio nucleare non era: più economici da costruire, più sicuri da gestire e possono essere costruiti ovunque. La controprova dei vantaggi di questa soluzione? La Cina non sta aspettando: “Stanno costruendo 100 gigawatt di nucleare, il che, una volta completato, significherà che forniranno metà dell'energia nucleare del pianeta. Perché la Cina è così rialzista sul nucleare? Vedono la decarbonizzazione come un modo per possedere il futuro dell'industria.” 

L’Europa che si sta (speriamo) risvegliando

E se l’analisi di BlackRock verte per buona parte sulla situazione degli Stati Uniti, la Lettera non dimentica il più grande mercato integrato al mondo con un PIL aggregato secondo solo agli stessi States: l’Europa. E lo fa citando le parole di Mario Draghi secondo cui il Vecchio Continente ha abbassato le barriere commerciali con il mondo ma non ha fatto lo stesso all'interno dei Paesi dell'UE, tanto che allo stato delle cose per un'azienda tedesca potrebbe ora essere più attraente fare affari in Cina che nella vicina Francia. E se nell’ultimo decennio le prospettive economiche dell'Europa sono state persistentemente pessimistiche, causa crescita lenta, mercati stagnanti e regolamentazione macchinosa, secondo Fink “ora l’Europa si sta svegliando e, rimuovendo gli ostacoli normativi e le barriere commerciali interne, potrebbe aumentare la produttività di quasi il 7%, aggiungendo l'incredibile cifra di 1,3 trilioni di dollari alla sua economia, l'equivalente della creazione di un'altra Irlanda e Svezia”.

Perché l’intelligenza artificiale può essere così importante per l’economia del Vecchio Continente 

Non solo. Lo sviluppo dell’AI può costituire un formidabile volano per un continente più di ogni altro alle prese con il calo demografico e l’invecchiamento della forza lavoro. È un assioma incontrovertibile, infatti, che la crescita economica dipende fortemente dalle dimensioni della forza lavoro, per cui una crescita sostenuta è possibile solo se quella si espande o diventa più produttiva o entrambe le cose. Ma proprio qui l’intelligenza artificiale può svolgere un ruolo cruciale perché nelle economie basate sui servizi (e meno sulla manifattura) quale quella europea, l’AI può automatizzare efficacemente le attività guadagnando in produttività. Né, per Fink, vale l’obiezione che ciò possa eliminare posti di lavoro poiché, in un bilancio costi-benefici all'interno di società opulente e invecchiate che devono affrontare inevitabili carenze di manodopera, l’intelligenza artificiale può rappresentare meno una minaccia che un’ancora di salvezza.

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